Venerdì 1 dicembre

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1°  dicembre, giornata mondiale di lotta all’AIDS.

Non voglio qui dilungarmi con statistiche, dati, numeri, notizie sull’andamento e la diffusione dell’AIDS: la malattia c’è, progredisce e continua a colpire soprattutto i tanti sud del mondo. Non voglio soffermarmi neppure sulle pesantissime responsabilità di tutto il ricco mondo occidentale che verso quei sud è sempre più cieco e sordo, avendo ben altro a cui pensare (petrolio, armi, cose da consumare…).
No, lascio queste valutazioni a chi ha più titolo di me in materia ben sapendo che ciascuno di noi dispone, oggi, di innumerevoli fonti di informazione a cui aggrapparsi per capire la situazione e farsene un’idea.
Qui, invece, desidero spendere due parole su quel che ci accade intorno, vicino a noi, perché vale la pena cercare di riflettere, di capire cosa ci sta succedendo.
Da dodici anni il Gruppo AutoAiuto, di cui chi scrive fa parte, ricorda i malati e le vittime dell’AIDS il 1° dicembre, nella giornata mondiale di lotta all’AIDS. Per sua vocazione il Gruppo opera, dal lontano 1991, con familiari di ragazzi tossicodipendenti (da eroina, soprattutto). Per questo motivo, molto spesso, il Gruppo è stato a contatto con la sieropositività, ha vissuto da vicino la sofferenza, il pregiudizio, la paura, la derisione, il giudizio e la condanna.
Il tavolo su cui, in quella giornata, vengono proposti opuscoli, stringati ma molto efficaci, per conoscere il mostro HIV, viene volutamente ed accuratamente evitato; poche persone si avvicinano spontaneamente a testimoniare solidarietà con una parola, una stretta di mano, un saluto. Tutti gli altri, tantissimi, gravitano lontano, inavvicinabili.
Per quale ragione? Tante le possibili risposte.
La paura scatenata dall’ignoranza, nel senso letterale del termine, cioè la non conoscenza delle cose. La condanna di pratiche sessuali insane (rapporti omosessuali, rapporti con prostitute, rapporti al di fuori del matrimonio, ecc…) e quella verso la vita trasgressiva di chi dipende da sostanze stupefacenti. L’illusione che nascondere il problema significhi vincerlo, eliminarlo.
Ma c’è di più e di peggio.
E’ risaputo e raccomandato, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come rapporti sessuali protetti e siringhe monouso siano gli strumenti migliori per evitare il contagio tra le persone a rischio (omosessessuali, tossicodipendenti, chi necessita di trasfusioni, ecc.). Ebbene il tavolo di cui sopra ha, ovviamente, tra il materiale esposto, anche un certo numero di siringhe monouso e profilattici. Ai ragazzi che si avvicinano ne porgiamo uno e, dialogando, ne raccomandiamo l’uso; alle ragazze proviamo a suggerire di pretenderlo dai ragazzi, senza il timore di essere considerate donnacce. In quanto alle siringhe, come è naturale, mai nessuno si fà avanti per averne.
Ma c’è un piccolo inconveniente: a quel tavolo si avvicinano sempre, al termine delle lezioni, anche i ragazzi che frequentano la Scuola Media di Ispra.  Nei quindici minuti successivi all’uscita, il gran fermento che viene a crearsi è in parte dovuto alla naturale esuberanza dei ragazzi ma molto alla  morbosa attrazione per i profilattici esposti. Qualcuno, più coraggioso ma ugualmente imbarazzato, ne chiede uno; qualcun’altro, un po’ furbescamente, chiede a cosa servano; altri, un po’ discosti, ascoltano attentamente i discorsi che vengono fatti; tutti alla fine se ne vanno in un brusio di risatine complici. Su tutto, immancabile, il nostro stupore e la nostra delusione  di fronte al grande malessere che si manifesta ogni qualvolta si sfiori la sessualità e tutte le sue implicazioni. Ma un anno alcuni genitori, scandalizzati da quanto avveniva, pensarono bene di rivolgersi alla Scuola affinché facesse smettere quella vergogna. La Scuola, sensibile alle istanze dei genitori, chiese al Gruppo, gentilmente in verità, di nascondere i profilattici all’uscita degli alunni perché la cosa non era gradita ai genitori. Il Gruppo, come era ovvio, non ascoltò.
Gli eventi che ho descritto sono uno spaccato di vita locale, quotidiana. Accadono qui ed ora ed accadono proprio a noi. Queste cose avvengono e toccano aspetti profondi del nostro essere ma non aiuta nascondersi sminuendone la portata. Sarebbe estremamente importante provare a capirne il significato più profondo, sentire che ciò che mette in subbuglio il nostro animo ha una sua ragione d’essere, che anche le emozioni guidano i nostri passi.

Un pensiero a chi con l’AIDS deve farci i conti ogni minuto della sua esistenza.

per il Gruppo AutoAiuto
Loris Papa

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